Il Gallery Hotel Art della Lungarno Collection, la compagnia di alberghiera di lusso della famiglia Ferragamo, ha riaperto le porte dopo due anni di chiusura con una una mostra fotografica molto glamour: My Lights & Shadows con gli scatti di Alan Gelati, curata da me. In esposizione ritratti suggestivi di alcune star di Hollywood come Nicole Kidman, Sean Penn, Francis Ford Coppola, Eva Herzigova, Janet Jackson, Yasmin and Amber Le Bon, Anya Taylor Joy (la famosa dama degli scacchi).
Classe 1972, Alan Gelati nasce a Milano dove studia fotografia, ma è negli anni ‘90 che arriva la svolta quando si trasferisce a Londra, nella cosiddetta Cool Britannia, come veniva chiamata in quel periodo la scena creativa e musicale al centro dell’Europa. Erano gli anni delle discoteche e dell’esplosione della musica pop e rock: London Swings! Again! recitava una cover di Patsy Kensit.
È la stagione in cui si affermano iconici designer di moda come Alexander McQueen e nella scena dell’arte irrompe il fenomeno degli Young British Artists, un gruppo di artisti tra cui Damien Hirst e Tracey Emin che, con le loro opere provocatorie segnano un cambiamento radicale nell’arte contemporanea dando vita a un nuovo corso.
Gallery Hotel Art: Alan Gelati
Alan Gelati respira e assorbe a pieno l’atmosfera di rinnovamento in cui vive. A Londra lavora senza sosta affinando la propria tecnica, fotografando dipinti, sculture classiche e oggetti di antiquariato, ed è proprio in questo contesto culturale che matura la scelta di puntare l’obiettivo sui volti, decisione che si rivela vincente.
Gioca sui close-up (i primi piani): ogni scatto è frutto di un’empatia che viene a crearsi tra lui e il soggetto di fronte all’obiettivo. Ritratti sofisticati, elegantemente attraenti ma colmi di sincerità. Sa cogliere la bellezza assoluta in ogni sguardo sia che si tratti di un’espressione, di un sorriso o di un gesto ironico.
Gallery Hotel Art: la mostra
La mostra My Lights & Shadows è una selezione di scatti in bianco e nero, presentati per la prima volta in Italia e già diventati iconici. Come Plastic, dal nome dello storico locale notturno milanese, un preludio dell’identità mutevole, avanguardia creativa in un presente aperto ai cambiamenti e alla fluidità di genere.
I suoi nudi sono incastri e sovrapposizioni di luci e ombre dove il profilo del corpo sembra disegnare paesaggi bidimensionali immaginari. Body è una figura in tensione, scultorea e candida che riporta alla statuaria classica greco-romana senza veli. E poi le mani, potentemente comunicative e simbolo di legami forti, ritratte in primo piano o in un abbraccio complice. Alan Gelati regala uno sguardo autentico, ricco di fascino, pervaso da un’intensa allure glamour. Definisce così la sua opera: “La mia fotografia, il mio passaggio su questo pianeta sono un frammento di infinito”.
Con il Gallery Art Hotel è stato riaperto anche il ristorante The Fusion Bar & Restaurant, luogo d’incontro per i fiorentini e non solo. La cucina è guidata dallo chef Antonio Minichiello che propone abbinamenti insoliti di crudo di pesce dal gusto speziato. Da non perdere l’abbinamento con il cocktail per eccellenza della casa: il Fusion Negroni servito scenograficamente dai barman mixologist.
In occasione della mostra My Lights & Shadows ho rivolto alcune domande ad Alan Gelati.
Quando e come hai iniziato a fotografare?
È stato un processo graduale, come quello che si costruisce e si acquisisce col passare degli anni nel corso della vita. Non c’è una data precisa. Tutto è iniziato in una fase molta avanzata, se non di età, certamente di maturità e dopo varie esperienze lavorative. Da lì ho capito come non avrei accettato di vivere il resto della mia esistenza.
Il tuo primo servizio fotografico e l’ultimo ?
Il primo è stato su alcuni test fotografici per un’agenzia di moda. L’ultimo un servizio di copertina ad un calciatore.
Chi sono stati i tuoi maestri o le tue fonti di ispirazione?
I maestri nella vita sono sempre molteplici, non necessariamente attinenti all’ambito fotografico. Nella mia formazione professionale si sono rivelate fondamentali diverse esperienze di vita maturate in ambiti lavorativi differenti e in apparenza lontane dal mio mondo. Alla fine la fotografia è uno sguardo su ciò che ci circonda e di cui cogliere tutte le sue sfumature. La conoscenza ed intelligenza non si limitano mai ad un unico colore o ad una singola esperienza.
Un ricordo della tua infanzia?
Quando giocavo con mia sorella sulla neve. Una bella fotografia.
Ti dividi tra Milano, Parigi, Los Angeles. A quale città sei più legato?
Ognuna di queste città, ma anche molte altre, mi fanno vivere forti emozioni e mi danno la possibilità di incontrare tipologie diverse di persone. Dovunque trovo spunti e stimoli estetici completamente differenti ma fondamentali nella ricerca del mio equilibrio esistenziale e professionale.
Il tuo soggetto preferito?
Il corpo e il volto. Sempre stato cosi anche agli esordi, quando non era ancora delineato il mio percorso professionale e l’idea di vivere con la fotografia era forse solo un bel sogno utile ad anestetizzare una quotidianità lavorativa che non mi faceva stare bene. Ricordo che una volta un agente di fotografia alla consegna di un free test fotografico che fu rigettato mi disse: “Tu non andrai mai da nessuna parte come fotografo, ti concentri troppo e solo sulle facce delle modelle“.
Al momento rimasi molto ferito, in seguito analizzando le parole e ripulendole dalla tracotanza con la quale mi vennero dette, capii che tutto sommato aveva ragione . Già da allora era forte la mia propensione verso il ritratto. Fortunatamente quei volti hanno aperto tante strade nella mia carriera artistica.
Bianco e nero o colore? Piccoli o grandi formati?
Non è importante la tecnica utilizzata ma l’immagine che viene a crearsi. Si può essere grandi fotografi usando anche solo uno smartphone. Il contenuto e la forma si plasmano nell’essenza dell’immagine fotografica.
Il volto noto più difficile da gestire?
Nessuno in particolare. Basta fotografare liberandosi dai canoni estetici imposti e intravedere la bellezza in ogni forma che si presenta davanti ai nostri occhi.
La moda è arte o l’arte è moda?
Discorso troppo complesso e articolato per non cadere nel banale. Quello che nel tempo si considerava “lavoro commerciale” o di moda si è riscoperto in seguito come arte. Andy Warhol e Toulouse-Lautrec lo hanno insegnato.
È cambiato qualcosa dopo il 2020 nel modo di fotografare e come vedi il futuro della fotografia?
Dipende da cosa si fotografa, per chi e per quali finalità. La fotografia come interpretazione del mondo da parte dell’artista non cambia. Ciò che cambia è solo il mezzo e l’utilizzo finale. Il futuro per me corrisponde unicamente al concretizzarsi di eventi pianificati. È un percorso che si intraprende senza sapere cosa ci attende, una prospettiva a tratti spaventosa. Ora cerco lo stimolo per scoprire e ricercare l’imprevedibilità della vita stessa.
La mostra My Lights & Shadows è aperta al pubblico ad ingresso libero fino all’estate.
Gallery Hotel Art , Vicolo dell’Oro 5 tel: +39 055 27263
Coordinamento mostra Manrica Rotili. In collaborazione con WiB Milano di Mario Rescio
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